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Il termine per impugnare il licenziamento collettivo è perentorio.

Il lavoratore ha la facoltà di esercitare l’azione di impugnativa del licenziamento collettivo, purché rispetti il termine perentorio di cui all’art. 5, comma 3, della legge n. 223/1991

La Cassazione, nella sentenza n. 12680 del 29 agosto 2003, si è mostrata concorde con le interpretazioni dei giudici di merito, sulla disciplina posta dall’art. 5, comma 3 della l. 223/1991, nella parte in cui dispone che: “salvo il caso di mancata comunicazione per iscritto, il recesso può essere impugnato entro 60 giorni dal ricevimento della comunicazione con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento delle organizzazioni sindacali.” L’utilizzo del termine ‘può’ anziché ‘deve’, secondo la Corte, non può essere inteso per qualificare come ‘non perentorio’ il termine di 60 giorni. L’espressione dell’articolo configura, senza dubbio, in capo al lavoratore, un onere, e non un obbligo. Tuttavia, una volta presa la decisione di impugnare il licenziamento, il lavoratore deve attenersi al termine, appunto, perentorio, di 60 giorni, poiché, una volta decorso tale periodo, il lavoratore decade dalla possibilità di impugnare.