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I primi interventi della Corte di Cassazione in materia di elettrosmog

Dopo l’entrata in vigore della legge quadro 22.2.2001, n. 36, sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, la Corte di Cassazione penale ha avuto occasione di pronunciarsi in due casi sulle medesime circostanze di fatto. Con la sentenza n. 353 del 2002 e la n. 391 del 2002, la Suprema Corte si è pronunciata sulla situazione di pericolo per la salute di persone residenti in un centro abitato, provocata da impianti di radiodiffusione, le cui emissioni elettromagnetiche superavano i limiti di tollerabilità previsti dalla legge. Sulla base di fatti analoghi la Suprema Corte si è pronunciata seguendo due orientamenti opposti: nella sentenza n. 353/2002, infatti, ha escluso l’applicazione degli articoli 650 e 674 del codice penale e ha disposto il dissequestro degli impianti di radiodiffusione, permettendo la ripresa dell’attività; nella sentenza n. 391/2002, invece, la Suprema Corte ha ritenuto che sussistessero i presupposti per l’applicazione degli artt. 650 e 647 del codice penale, confermando il sequestro delle emittenti radiotelevisive ed impedendo la ripresa della loro attività.

Con la sentenza n. 353/2002, la Corte di Cassazione penale, sez. I, ha disatteso l’interpretazione del giudice di merito, secondo il quale il mero superamento dei livelli massimi di tollerabilità delle immissioni elettromagnetiche, previsti dalla legge, integra gli estremi della contravvenzione di cui all’art. 674 c.p. Secondo la Suprema Corte, infatti, la condotta punita dall’art. 674 c.p. “[…] è strutturalmente diversa dal generare campi elettromagnetici[…]”. L’art. 674 c.p., infatti, punisce “chiunque getta o versa in luogo di pubblico transito […] cose atte a offendere, o imbrattare o molestare persone, ovvero […] provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti […]”. Inoltre, la Corte rileva come nella nozione di “cose” non possano essere ricondotte le onde elettromagnetiche e come, ai fini della sussistenza del reato, sia “[…] pur sempre necessaria la prova concreta dell’effettiva idoneità delle onde a ledere o a infastidire le persone o a produrre nocumento certo per la salute di esse”; prova che non è stata fornita in considerazione anche dell’incertezza espressa dal mondo scientifico. Con la sentenza n. 391/2002, la Corte si è pronunciata in modo opposto, ritenendo che “[…] il fenomeno della propagazione delle onde elettromagnetiche è astrattamente riconducibile all’ipotesi contravvenzionale prevista dall’art. 674 c.p., di guisa che il concreto pericolo di nocività delle immissioni deve ritenersi sussistente per il solo fatto che sono stati superati i limiti fissati dalla normativa vigente in materia”.