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La disciplina economica e previdenziale del pubblico impiego di fatto.

Con sentenza n. 4671 del 7 settembre 2001, il Consiglio di Stato, sezione V, ha affermato che qualora “[…] la Pubblica Amministrazione ponga in essere, anche se sotto il nomen iuris di contratto di appalto ovvero d’opera, un rapporto avente in realtà le caratteristiche del lavoro subordinato, seppur nullo di diritto, atteso che si è provveduto all’assunzione senza il superamento del prescritto concorso o della eventuale prova selettiva, per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione trova comunque applicazione l’art. 2126 c.c. (Prestazione di fatto con violazione di legge, n.d.r.), con conseguente diritto dell’interessato alle relative differenze retributive ed alla regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale”.

Nella pronuncia in commento, il Consiglio di Stato affronta il problema della disciplina applicabile al rapporto di pubblico impiego “di fatto”, sia dal punto di vista della competenza del Giudice Amministrativo di accertarne la sussistenza, sia dal punto di vista del trattamento economico e retributivo applicabili. Per quanto riguarda il primo aspetto, la Suprema Corte afferma che qualora manchino i “provvedimenti genetici tipici” previsti dall’ordinamento – quali, ad esempio, l’assunzione mediante concorso o prova selettiva – non si possa affermare l’esistenza di un rapporto di pubblico impiego di fatto. Nel caso in cui, infatti, “[…] un soggetto assuma che un rapporto di pubblico impiego è sorto sulla base di atti diversi da quelli presi in considerazione dalla legge, il giudice amministrativo non può accertare un rapporto che non è sorto, non sussiste e non può giuridicamente sussistere […]”. Il rapporto di lavoro di fatto, che presenti comunque gli estremi del rapporto di pubblico impiego, quali la subordinazione gerarchica, il rispetto di un preciso orario di lavoro, nonché la continuità della prestazione, riceve una disciplina economica e previdenziale tipiche del rapporto di pubblico impiego.